Nell’edizione odierna de Il Corriere dello Sport, ha parlato Paolo Casarin, 83 anni, trenta da arbitro, sette da designatore e da ventuno una sorta di cassazione sulle pagine del Corsera.
«Per lavoro sono stato in 108 Paesi, ero uomo Eni: ho inseguito il petrolio prima del pallone. Insomma ho viaggiato tanto e eletto il Tibet, il Nepal, a mio altrove. Non so se ci sei mai stato, quei posti, quella gente, la profondità dei loro sguardi, un’esistenza non riconducibile alle determinazioni dell’esperienza, mi hanno invaso. Il Tibet è spiritualità a chili. Ti racconto un episodio, se c’è il tempo».
«Da quando hanno abolito la volontarietà si moltiplicano le decisioni assurde. Porto un esempio elementare: il braccio colpito involontariamente dal pallone fa un movimento a rientrare. Se invece l’intenzione è quella di intervenire, la traiettoria del pallone è in avanti. Oggi il difensore è costretto ad assumere posture innaturali».
Tutta colpa della tecnologia.
«Una persona importantissima mi ha spiegato che tra qualche anno prenderà il posto dell’arbitro, una figura destinata a sparire. Io quel giorno non voglio esserci».