Il responsabile dello staff medico del Napoli Dott. Raffaele Canonico ha rilasciato alcune dichiarazioni ai microfoni di Radio Kiss Kiss.
“Il nostro è un lavoro d’equipe, fatto da tutti e quindi volevo ringraziare personalmente tutto il mio staff, che non viene da fuori ma è tutto del territorio e questa è un’altra bella cosa”.
Quant’è difficile rendere omogeneo un gruppo internazionale come quello del Napoli? “E’ un lavoro che parte dal primo giorno di test, all’atto dell’acquisto del giocatore. Lì c’è il primo interscambio di conoscenze e informazioni sulle mie abitudini e le loro metodologie di prevenzione. Il primo ostacolo può essere la lingua, ma per fortuna l’inglese ci aiuta nell’avere subito un approccio diretto. La bravura sta pure nel non imporre le proprie conoscenze, ma cercare di adattarci e portare poi i calciatori verso le nostre metodologie. Parliamo di grandi atleti, super professionisti, loro in primis sono alla ricerca delle miglior cose per performare al top”.
Il momento più difficile della stagione è stato quello della pausa Mondiale? “Per noi no, non è stato difficile da gestire. C’è stato una sorta di reset. Dopo due settimane di pausa ci siamo rivisti a Castel Volturno e subito siamo andati in Turchia, in un resort eccezionale e neanche noi ci aspettavamo di trovare la qualità di struttura e di campi che abbiamo trovato lì. Le esigenze erano tante, c’era bisogno di un campo, di vasche, di spazi aperti. Poteva sembrare lunga come pausa, ma noi siamo stati aiutati perché è stato un periodo che ha portato tanti frutti, ci ha permesso di recuperare Rrahmani. Il momento più difficile è stato tenere fuori Osimhen dall’andata dei quarti di finale di Champions League con il Milan”.
E invece le pause brevi per le nazionali? Quelle di quindici giorni? “Dovremmo riposarci perché ovviamente con meno giocatori sarebbe così, ma io sono sempre sul chi va là. L’anno scorso Olivera si fece male in nazionale a giugno, al collaterale. Poi è anche un discorso di fortuna. All’ultima sosta delle nazionali ci è girata male: noi stavamo recuperando Raspadori, poi Victor è tornato con un problema abbastanza serio all’adduttore e col Lecce si fece male SImeone. Ci siamo trovati in un momento topico senza tre giocatori nello stesso ruolo, questa è la sfortuna. Con molti colleghi delle nazionali riesco ad avere sempre un dialogo, ci sono scambi di programmi, di percorsi alimentari e preventivi. Su alcune nazionali ancora abbiamo difficoltà, entriamo quasi in vuoti spazio-temporali, ma anche su questo stiamo lavorando. Poi per fortuna abbiamo un dialogo diretto coi ragazzi e questo ci aiuta”.
In un gruppo come il vostro è importante anche Tommaso Starace. “Ha un suo booster che è il caffè. Anche prima delle partite o degli allenamenti dà un plus da un punto di vista energico ai ragazzi”.
Come sta Lozano? “Procede bene. Ha avuto un infortunio simile a quello di Demme due anni fa in Trentino od Olivera l’anno scorso, abbiamo optato per una terapia conservativa, se tutto procede per il meglio lo avremo in gruppo per i ritiri”.
Osimhen gioca con la mascherina per scaramanzia? “Con il chirurgo Tartaro, che l’ha operato, concordammo già dall’anno scorso a maggio-giugno che avrebbe potuto giocare senza maschera. Ma non è un discorso di scaramanzia, si sente più tranquillo e sereno con la mascherina. Quest’anno ha preso gomitate o testate vicino all’orbita e la maschera ha fatto il suo lavoro”.
Come si gestiscono invece le vacanze che stanno per arrivare? “Nella prima settimana i calciatori vengono lasciati a un distacco completo, poi però gli vengono comunque assegnati dei programmi preparati dai nostri preparatori. E poi hanno comunque degli schemi alimentari, delle indicazioni preparate dal nostro nutrizionista per quelle tre-quattro settimane. Un modo per arrivare non completamente disallenati all’inizio della stagione successiva”.
Sui due ritiri in Italia. “Secondo me la continuità che può darti una preparazione, soprattutto nel periodo estivo, e soprattutto la possibilità di giocare delle amichevoli senza transfer e quindi senza perdere un giorno e mezzo, e staccare i due ritiri, ti permette di ingrandire il serbatoio e di riempirlo nella maniera più corretta possibile, dando i giusti carichi di lavoro in vista di metà agosto che è quando comincia il campionato”.
Perché Anguissa e Kim giocano sempre con una benda? “Anguissa un anno e mezzo fa ebbe un trauma in nazionale, una microfrattura che diagnosticammo successivamente. E’ una sorta di bendaggio funzionale per proteggere sia la mano che l’articolazione del polso. Lo stesso per Kim, che ha avuto un trauma contusivo-distorsivo al polso quest’anno e il bendaggio gli permette di avere un briciolo di stabilità dell’articolazione in più. Non è un vezzo, ci sono motivazioni cliniche”.
Qual è l’atleta che più si confronta con lei? Chi è quello ‘rompiscatole’? “A questo livello più o meno tutti vogliono capire, soprattutto nelle problematiche muscolari, qual è l’entità del danno. Gli atleti un po’ più grandi sono quelli che vogliono capire di più. Ricordiamoci che qualsiasi atleta ha fastidi quotidiani, per cui il confronto li aiuta a interpretare questi segnali del corpo. Ed è ovvio che l’atleta di 20-21 anni può passare sopra a qualche fastidio, quelli invece un po’ più maturi, come ad esempio Di Lorenzo che l’anno scorso ha avuto un infortunio serio al ginocchio con un recupero eccezionale, chiedono di più. Col capitano c’era un confronto quotidiano, guardando insieme le immagini per capire meglio la problematica. Questo ci dà soddisfazione, vuol dire che i calciatori sono partecipi”.
Sul periodo del Covid. “E’ stato quasi un incubo. Per tornare a giocare noi dovevamo poi attenerci a protocolli molto rigidi: tamponi molecolari ogni 2-3 giorni, in caso di positivi tamponi la notte prima della gara, tanti disagi. Mi prendevano in giro perché nel giorno dell’effettuazione dei tamponi ero abbastanza intrattabile perché in caso di un positivo scattava un protocollo. Ma anche lì i ragazzi ci hanno aiutati, non ci hanno mai ostacolati. Noi eravamo l’unico club di Serie A ad avere tutti i componenti del gruppo-squadra col vaccino anti-Covid fatto”.
Se arrivasse un allenatore straniero cambierebbe qualcosa nella metodologia di lavoro? “Alla fine cambia poco. Noi rappresentiamo, grazie anche all’intuizione del presidente, anche un anello di congiunzione, noi e i preparatori atletici. La metodologia differente puoi trovarla sia in un italiano che in uno straniero, sta a noi avere la capacità di trasmettere quanto riguarda le nostre competenze e cercare di interfacciarsi. La collaborazione area tecnica, area medica e area fisica fa la differenza, soprattutto quando si gioca ogni tre giorni. All’inizio ci sarà una fase di riadattamento”.
Al medico non dicono nulla sul nuovo allenatore? “A volte quando dobbiamo fare le visite per un nuovo calciatore venivo avvisato la sera prima”.