Nell’edizione odierna de ‘Il Mattino’, ha parlato l’ex giocatore azzurro Paolo Cannavaro.
“È lo scudetto di quei tifosi che erano a Gela e a Manfredonia, di quelli come me che il 10 giugno del 2007 con lo 0-0 riportarono il Napoli tra le grandi della serie A, di chi era felice solo per il ritorno in Intertoto, di chi ha vissuto gli anni bui della discesa negli inferi del calcio e ora si gode una gioia unica, straordinaria.
Cannavaro, cosa è questo scudetto?
«È uno scudetto pieno di cose. È un momento di ricordi, come quando vedi tuo figlio che si prende la laurea con 110 e lode. E allora in quei momenti ripensi al suo primo giorno di scuola, a quando è andato alle scuole medie e poi al giorno della maturità alle superiori. Ecco, rivedo tutto questo. E in tutto questo ci sono spesso anche io».
È lo scudetto che torna al Sud. «Sì, ma io a queste cose non do importanza, un po’ mi stancano i luoghi comuni del riscatto sociale e così via. Piuttosto, è lo scudetto delle lungimiranza, è lo scudetto di un modello di club che fa invidia all’Italia, è lo scudetto di un presidente che spesso veniva preso per uno folle per la sua voglia di cambiare le regole e invece alla fine ha avuto sempre ragione su tante cose, sul taglio degli ingaggi, sui bilanci che devono essere sempre in regola. Per questo è tutto più bello. Il Napoli ha vinto con la forza delle idee, dando un esempio di come si possa fare calcio in maniera sostenibile».
Che festa si immagina? «Interminabile. Che può durare anche fino alla prima giornata del prossimo campionato. Ora sono a New York, mai avrei pensato che già ad aprile potesse arrivare il giorno della conquista aritmetica. Festeggerò, spero, domenica con i napoletani che sono qui».
Un po’ di invidia ce l’ha per Di Lorenzo e gli altri?
«Non è la parola giusta, ma sarei falso se dicessi che da capitano e da napoletano questo giorno non me lo sono sognato tante volte quando giocavo nel Napoli. Ma io ci ho provato sempre e ho il rammarico di non esserci riuscito. L’ultimo anno di Mazzarri ci siamo andati vicinissimi ed è quello il mio rimpianto».
Perché non lo vinceste?
«Cavani da un certo momento in poi si spense e smise di segnare. Ecco, non avevamo Raspadori e Simeone pronti a prendere il suo posto. Li avessimo avuti come alternative a Osimhen, sarebbe finita in un altro modo».
Non ce l’ha con Benitez perché l’ha costretta ad andare via? «Ce l’ho solo perché è stato l’unico che non mi ha dato la possibilità di fargli vedere quello che valevo: da Sacchi a Di Francesco, ho sempre convinto tutti. Lui non me ne ha mai dato la possibilità».
I tre momenti chiave della stagione?
«Non ho dubbi: la gara in casa con il Liverpool, la lezione di calcio ad Amsterdam con l’Ajax e poi la vittoria al Maradona con l’Atalanta. Ecco, dopo quel 2-0 ho detto: è fatta».
È sorpreso che lo scudetto arrivi dopo l’addio di tre bandiere come Insigne, Koulibaly e Mertens?
«No, ma anche loro hanno i meriti per essere arrivati fino a qui. Chi è passato ha messo un mattoncino in questo enorme grattacielo. Non bisogna dimenticare che questa società ha 19 anni di vita e ora tutti fanno a gara a venire al Napoli. Ma quelli che hanno messo le fondamenta meritano un grazie: perché nessuno deve dimenticare che all’inizio c’è chi il Napoli lo rifiutava, preferendo club che adesso magari non ci sono neppure più. Ecco, le cadute e le risalite hanno portato a questi giorni memorabili».
Per l’intervista completa vi riportiamo alla lettura de Il Mattino.