Decisione rimandata. Il Ministro dello Sport aspetta di confrontarsi con il responsabile della Sanità.
In attesa di scoprire il futuro del calcio in Italia è evidente che nessuno voglia avere l’esclusiva delle decisioni per non pagarne le conseguenze (in modo personale) se qualcosa andasse storto. Le società le rimandano ai ministri che se le palleggiano per dividersi le responsabilità.
Giusto, ma le certezze matematiche non esistono, la medicina non è una scienza esatta, men che mai quando ti trovi di fronte ad una malattia nuova. Eppure l’Italia ha l’obbligo di ripartire, cercando di contenere i rischi (ovvio) ma senza poterli annullare, l’alternativa sarebbe addormentarsi in un sonno mortifero.
Dunque, se a partire da maggio la maggior parte delle attività lavorative riprenderanno, per quale motivo il calcio non dovrebbe ricominciare? Il calcio è la terza azienda del paese per fatturato, i calciatori ne sono gli operai altamente specializzati e profumatamente pagati.
Dunque se ripartiranno tutte le altre, dotandosi di regole rigidissime e tentando di limitare i rischi pur senza poterli azzerare, perché non può farlo l’azienda calcio che avrebbe un index di rischio bassissimo con l’applicazione dei protocolli elaborati? Probabilmente il vero problema è quello di cui si è accennato prima: La responsabilità.
Nessuno vuole diventare il capro espiatorio in caso di problemi. Partendo, presumibilmente, dai medici sociali, passando per le società fino alle Istituzioni politiche. Magari tutti aspettano una norma che li liberi da questo capestro e nell’attesa non si decide. Però, in situazioni speciali bisogna avere comportamenti straordinari.
Bisogna avere coraggio, bisogna andare oltre i confini del sicuro, essere visionari e credere fortemente di potercela fare. Il calcio non è solo uno sport e sicuramente (non si offenda nessuno) non è uno sport come tutti gli altri. Ogni sport è prezioso, sudore e fatica, sacrifici e vittorie, al pari delle sconfitte meritano rispetto ma il calcio non riguarda solo gli atleti. È un bene condiviso, una categoria dell’anima, patrimonio di tutti e di ognuno.
Il calcio non è solo denaro e potere perché se così fosse si sarebbe estinto ma entra nelle pieghe della vita di tutti gli appassionati regolandone i battiti del cuore. C’è poi un altro aspetto: In momenti drammaticamente universali come questo, chiunque possa dare un contributo alla causa diventa un piccolo o grande eroe.
Eroi sconosciuti, silenziosi e spesso invisibili che vivono la propria professione in modo più stimolante. Certo con paura, con stanchezza ma consapevoli di aver fatto il proprio dovere per il bene comune. Chi può dire se anche i calciatori non vogliano poter dare il proprio contributo per aiutare la gente ad affrontare meglio la drammatica quotidianità che sta affrontando?
Bambocci viziati, privilegiati e ricchissimi proiettati in dimensioni estranee ai comuni mortali potrebbero capovolgere tanti luoghi comuni. Quale occasione migliore per smascherare la banalità di tanti giudizi preconfezionati?
Dunque, nell’ovvia ricerca delle migliori garanzie possibili, non ci può essere una scelta più saggia che permettere al calcio di ripartire. Con un po’ di fortuna, sfidando la paura e superando il silenzio assordante di stadi vuoti ma accompagnati dai palpiti della vita che si risveglia, i calciatori potranno aiutare a riscrivere la storia.