Forse suscita antipatia, per la maglia che indossa, per la supponenza palesata, per il tono della voce forte che rievoca un atteggiamento che infastidisce, la presunzione.
O forse, più semplicemente, per essere stato il portiere più forte del mondo per almeno vent’anni.
Gianluigi Buffon però, senza ombra di dubbio, si distingue per sincerità. La sua confessione a cuore aperto al quotidiano “La Repubblica”, è uno spot alla schiettezza:
PERCHE’ IL PORTIERE? “Per narcisismo, per una forma di protagonismo esasperato. Non mi sarei accontentato di essere un buon portiere di serie C. Volevo diventare ciò che sono oggi: il miglior portiere al mondo di trentasei anni. Sono diventato un portiere anche per cattiveria agonistica, volevo strozzare in gola l’urlo del gol ai tifosi avversari”.
L’AMICIZIA “Ho soltanto due veri amici: Marco e Claudio, vicini di casa e compagni di classe alle elementari e medie. Marco lavora nella segheria del padre, Claudio è il capo dei rimorchiatori di La Spezia. L’amicizia è un sentimento sacro. Nel calcio è complicata, faccio fatica a farle dei nomi ma ci provo: Chimenti, Grosso, Nista, Gattuso, Pirlo, Cannavaro, Thuram e Crippa”.
ERRORI DI GIOVENTU’ “In gioventù ho fatto moltissimi errori: “Boia chi molla” e il numero 88 che evoca Hitler, il diploma di ragioniere comprato, le scommesse clandestine, il gol-non gol di Muntari in Milan-Juve, la frase infelice “meglio due feriti di un morto”. Sono stato ignorante e l’ignoranza non è una giustificazione, ma bisognerebbe saper perdonare la gioventù. Ci sono dichiarazioni che non rinnego, quella sul gol di Muntari per esempio, peccherei di ipocrisia. Le scommesse… è capitato anche questo. Il gioco ha sempre rappresentato e continuerà a rappresentare un piacere, un piacere e uno svago. Purtroppo in Italia non si vive con serenità questo tipo di attività e il concetto di gioco d’azzardo rimane tabù. Si preferisce l’associazione triangolare gioco-dipendenza-rovina. Per me è più dipendente chi spende solo mille euro ma regala alla dea bendata dieci o dodici ore al giorno del suo tempo piuttosto di uno come me che può rischiare di perdere centomila euro alla volta, ma dedica al gioco una sera ogni due mesi”.
LA DEPRESSIONE “Era la stagione 2003-2004. La Juventus era senza obiettivi. Mi sentivo solo come mai prima, non ero fidanzato, mi rincoglionivo davanti a Internet. Nel letto mi stringevo la testa alle ginocchia e piangevo. Non mi hanno salvato né il calcio né l’analista. Ho cominciato a leggere, a visitare mostre d’arte, a interessarmi a quanto accadeva nel mondo. Sa, a scuola ero bravo. Gli insegnanti mi hanno sempre riconosciuto una certa proprietà di linguaggio. Alla soglia dei trent’anni mi sono arrabbiato con me stesso e ho cominciato una ricerca di legittimazione culturale. Ogni giorno compro due quotidiani più la Gazzetta dello Sport durante i ritiri, ho letto molti libri sulla storia degli anni di piombo e sulle bande criminali italiane da Cavallero alla Magliana, i romanzi della Fallaci ma anche l’ultimo saggio di Tremonti, una biografia di Renzi e, lei mi prenderà per pazzo, un manuale di programmazione neurolinguistica”.
L’UOMO BUFFON “Chi è oggi Buffon secondo Buffon? Un uomo sereno con una moderata paura dell’avvicinarsi dello stop. Ma penso che dopo sarà felice perché potrà studiare il cinese e amare le persone care che lo hanno avuto poco accanto. Non farà l’allenatore”.
PARATE STORICHE Quali sono state le mie migliori parate? Amichevole Italia-Paraguay, aprile 1998 al Tardini di Parma. Cesare Maldini mi fa entrare nella ripresa al posto di Peruzzi e prendo subito gol per una deviazione di Costacurta. Su un calcio d’angolo Brizuela calcia fortissimo a un metro dalla linea di porta eppure riesco a deviare il pallone con un balzo prodigioso. Mi tiro su e mi urlo: questa solo te la potevi prendere. Spareggio per la Coppa Campioni tra Inter e Parma, maggio 2000: perdiamo 3-1, ma tolgo da sotto l’incrocio una conclusione di Recoba. Infine, la finale di Champions del 28 maggio 2003 tra Juventus e Milan a Manchester: colpo di testa di Inzaghi da pochi passi. Sono tutte su Youtube”.
LA PREPARAZIONE – “A trentasei anni contano più i riflessi o l’esperienza? Le motivazioni. I riflessi si appannano. Alla mia età non si migliora più, è meglio ridurre il lavoro tecnico e curare maggiormente la prevenzione degli infortuni, l’alimentazione e l’attività in palestra. Certo, non sarei più in grado di reggere gli allenamenti di vent’anni fa. Oggi però il calcio è soprattutto specializzazione”.
ATTREZZI DEL MESTIERE “Ho mani belle, dita lunghe: eredità di mio padre. Uso gli stessi guanti da dieci anni, si può dire che li progetto io: non troppo stretti per lasciare libertà di movimento alle mani e con un lattice di bassa aderenza per sentire il pallone, quelle poche volte che mi riesce di bloccarlo”.
I MODELLI- “Quali colleghi ho più ammirato? L’audacia di Seba Rossi e Schmeichel, l’esplosività di Peruzzi, l’eleganza di Marchegiani, la classe di Antonioli e Pagliuca, i riflessi di Toldo e Van der Sar”.
GLI ATTACCANTI “Gli attaccanti più temuti? Ronaldo, Cristiano Ronaldo, Messi ma soprattutto Bobo Vieri”.
I FIGLI “La domanda che mi fanno più spesso i miei figli Louis Thomas e David Lee? Papà, quand’è che smetti di giocare? Se temo che possano deludermi? Spero che lo facciano, anzi, devono deludermi. La perfezione mi ha sempre infastidito. Bisogna sbagliare per poter crescere”.
IL BELLO DELLA SOLITUDINE “Ho meritato la solitudine con gli anni, ma è una solitudine pratica fatta di pudore e riservatezza. È la giusta distanza. Nei ritiri dormo da solo, è un desiderio e una necessità psicologica. Non sopporto di convivere con qualcuno che tiene accesa la tv. Ho sempre un quaderno con me: annoto i miei pensieri, il riassunto di un libro, il significato dei vocaboli che non conosco. Gli ultimi tre sono forastico, stertoroso e disamistade. Voglio imparare a parlare”.
Dal 14 giugno in poi Gianluigi Buffon si colorerà. In Stand by il bianconero, indosserà l’azzurro della Nazionale. Non sarà quello del Napoli, non accadrà mai, ma Gianluigi Buffon dei napoletani ha la schiettezza e la sincerità.
Una storia di vita, la sua, toccante, vera, comune a tanti uomini “normali”.
Una testimonianza che non insegna a fare la parata più bella della storia del calcio, ma ad apprezzare, e godere, del dono più grande che abbiamo, la vita.