A “1 Football Club”, è intervenuto Riccardo Bigon, ex direttore sportivo del Napoli.
Come approccerebbe un direttore sportivo al calciomercato odierno?
“Dipenderebbe dalle diverse situazioni, dagli obiettivi di un determinato club e dal budget a disposizione. A meno che non ci siano grossi problemi, a volte si può anche non intervenire sul mercato. Ma se è necessario dare una sterzata, bisogna smuovere qualcosa per far sì che le dinamiche procedano nel verso giusto”.
Allora il Napoli non dovrebbe intervenire sul mercato… “Credo che toccare gli equilibri dei calciatori titolari o degli altri presenti in rosa non abbia tanto senso, considerate le relazioni umane nate all’interno del gruppo. Forse andrebbe data un’occhiata alle seconde o le terze linee, e capire se si può alzare il livello intervenendo sul mercato. Ma andrebbero mosse una o due pedine per avere da loro qualcosina in più, ma toccare la sostanza della rosa del Napoli ad oggi risulterebbe inefficiente”.
Quanto diventa cruciale il ruolo del ds in Italia in vista dei movimenti di mercato dei top club europei? “Credo che possa diventare una parte sempre più predominante all’interno dell’area tecnica, anche se a livello di stategie sociali è venuto meno il ruolo centrale avuto in passato. Ma se si considerano la valenza economica del calciomercato e le valutazioni dei calciatori, questo incarico diventa fondamentale per indirizzare gli influssi economici in base alle diverse realtà. Bisogna conoscere il budget delle differenti squadre e i loro obiettivi, tuttavia la centralità del responsabile dell’area tecnica, cioè il ds, sta divenendo sempre più importante per i cambiamenti economici del calciatore. La bravura del ds è introuddre un giocatore nella giusta dimensione e consentire loro di crescere”.
De Laurentiis cerca bravi direttori per scovare giovani talenti? “Credo poco al caso, ho sempre individuato questa caratteristica come una delle principali possedute dal presidente, cioè quella di riconoscere le persone. È un imprenditore, è abile ad individuare prima il capitale umano di una persona, poi quello professionale. Ai miei tempi non era un esperto di calcio, ma era consapevole di questo e sapeva riconoscere il potenziale umano dei direttori sportivi e non solo. Questa sua dote è comune a tutto il suo percorso, vedi le diverse figure che lo hanno accompagnato in questi anni. I risultati gli hanno sempre dato ragione, anche se nella vita ci sono alti e bassi. Questa capacità va riconosciuta”.
Qual è la formula per scovare talenti come Higuain, Cavani e Kvara? “Dal punto di vista della ricerca del talento, si poteva pensare in passato di contare su uno scouting sviluppato. Ma ad oggi il monitoraggio di giovani talentuosi presenti nel mondo è una disponibilità comune. Tutti i club li hanno sotto controllo. Ma la vera difficoltà è nel riuscire a collocare il giocatore nella dimensione adeguata, per quanto concerne la piazza, gli obiettivi o le caratteristiche tecniche. Vedi Kvara, se fosse stato ingaggiato con Insigne ancora presente in rosa, non avrebbe avuto probabilmente lo stesso impatto. A volte non è solo il talento di un calciatore a fare la differenza, ma trovare la dimensione giusta nel quale inserirlo. Non è solo sapere se quel ragazzo è forte o meno, ma creare le condizioni affinché il talento emerga attraverso un bravo allenatore, un abile staff e tutti gli elementi per innescare il suo potenziale. A volte funziona ed altre no, ma in quel momento si evincono la bravura e la professionalità di direttore sportivo”.
Quali sono stati i tre acquisti più importanti della carriera? “Non è facile rispondere a questo quesito. Diventa agevole dire Cavani, Mertens, Higuain, calciatori i quali hanno scritto la storia di un club. A me piace ricordare Ghoulam, è stata una scommessa, ma avrebbe potuto firmare anche per il Barcellona senza quegli infortuni. Anche Hickey a Bologna, un’operazione di mercato strana effettuata durante il Covid, l’avevo visto solo in televisione, anche lo scozzese fu una scommessa. E poi Jorginho, ebbe una storia particolare, poiché era approdato in Italia al Verona da soli sei mesi. Fu bravo Pecchia a mostrare il calciatore a Benitez, da un’idea non considerata giusta decidemmo poi di puntare sul suo potenziale”.