Articolo a cura di Bianca Terracciano.
Kombat 2019 – la nuova maglia SSC Napoli per la stagione 2018/2019 – ha acceso il fuoco della guerra, per citare la frase dedicata dai media giapponesi alla nazionale di calcio dopo la storica vittoria contro la Colombia. La guerra non è solo quella inscritta nel nome – combat vuol dire combattere, e credo che tutti si ricorderanno del picchiaduro leggendario Mortal Kombat – ma, come ho già scritto altrove relativamente alla maglia Camo Fight, possiamo pensare, per estensione di significato, a un confronto bellico dalla durata di 38 giornate, le singole battaglie, per conquistare l’Italia e l’Europa.
La fase di preparazione alla guerra consiste nell’approvvigionamento necessario alle operazioni militari come armamenti, combattenti e, ovviamente, divise, ovvero quei metri di stoffa in cui è racchiuso un intero sistema di valori di un popolo, una maglia sostenuta, incitata, sognata, che equivale all’amore e alla vita.
Una maglia che non serve solo a coprire e a identificare, ma anche difendere la città, proprio come mostra la graphic novel animata ambientata in uno scenario apocalittico, una Napoli deserta e in rovina – con tanto di nave colata a picco in prossimità di Castel dell’Ovo – dove sembra avere il coraggio di uscire in strada solo uno sparuto gruppo di uomini, fisicati e temibili, impegnati a seguire le tracce di una bestia feroce che ha disseminato la città con graffi e impronte azzurre, trasposte anche nella Partenope reale con una bella campagna di guerrilla marketing realizzata nei giorni precedenti alla presentazione ufficiale.
La responsabile delle tracce, una pantera nera, non esita a venire allo scoperto, assalendo i coraggiosi beniamini della città, che, compiendo ampi gesti alla Clark Kent, sguainano all’istante la loro divisa da supereroi, la maglia Kombat 2019, alla cui vista il felino sembra già giungere a più miti consigli. La graphic novel si interrompe qui, con un brusco ritorno al mondo reale, in cui il lettore, un ragazzino, si trova dinnanzi i personaggi del mondo finzionale: tanto stupore, ulteriore stacco spazio-temporale, e la scena si sposta in uno store ufficiale, dove sempre lo stesso giovane tifoso sfiora con curiosità frammista a timore la nuova casacca, che lo saluta con un fragoroso ruggito.
Se ogni partita è un combattimento, il calciatore/guerriero deve avere delle doti non soltanto tecniche, ma anche innate, come l’istinto, quello animale, felino, la cui funzione poetica ed espressiva si materializza nei giochi di trama e ordito, vale a dire nei motivi sul tessuto della maglia, su cui campeggia una versione poligonale del volto di una pantera, simbolo di coraggio, valore e potenza, ricalcando il trend lanciato da Gucci, primo brand al mondo nel 2018 (cfr. Lyst Index).
Troviamo l’animalier nella moda sin dall’antico Egitto, associato alle divinità femminili, per poi giungere a perpetuare il suo raccordo con la sfera religiosa proprio attraverso la pantera, considerata un’allegoria di Cristo, perché le si attribuiva il potere di mettere in salvo gli animali da draghi e serpenti, pure questi ultimi immortalati sulle casacche riservate ai portieri del Napoli, rappresentati sia nel dettaglio, in forma di squame, sia per intero, con due esemplari intrecciati sulla schiena. Dunque il bene e il male, l’yin e lo yang dello spirito animale, inglobato in figure tessili atte a instaurare una relazione di somiglianza, una metafora tramite cui si attiva una catena metamorfica da umano ad animale. L’energia di uno sportivo riporta l’uomo a uno stato autentico dell’animalità, indotto tramite una trasformazione innescata da un semplice capo di abbigliamento – una maglia – capace di rendere il calciatore una summa di natura e cultura, il superamento incarnato di una dicotomia. Se il campione-pantera spaventa con la sola presenza, quello serpente sa cambiare pelle in ogni circostanza, per essere sempre in grado di difendersi al meglio delle sue possibilità.
Pantere e serpenti sono all’ordine del giorno nelle collezioni più prestigiose, ce lo dimostra nuovamente Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci (griffe amatissima dai calciatori), con la stampa Flora Snake, e così l’SSC Napoli, da sempre fautrice di buone pratiche di marketing, propone i componenti della squadra come incarnazione esemplare della moda del periodo, confermando l’assunto da me formulato già in relazione al lancio della Camo Fight 2013/2014, anni in cui su tutte le passerella sfilavano capi mimetici.
Se ci soffermiamo sull’animalier comprendiamo che si inserisce in una struttura aperta e dinamica dove il suo essere di moda non riguarda un cambiamento netto, improvviso, dovuto solo all’alternarsi delle tendenze stagionali, ma graduale e ricorrente, dove tramite variazioni ed estensioni di significato oscilla, a mo’ di pendolo, tra differenti valorizzazioni, sedimentatesi nel corso dei secoli, come dimostrano miti, folklore, storia e religione, tutti accomunati da zoomorfismo e antropomorfismo come fil rouge. Il discorso però può andare ancora oltre, soprattutto tenendo conto di un sistema di valori denso come quello di Napoli città, della sua squadra e dei suoi tifosi, dove anche una singola casacca può diventare questione vitale: basta l’aggiunta di un colletto chiuso da un bottoncino ed è subito nostalgia dei primi anni Novanta, quando lo sponsor tecnico era Umbro, brand sportivo rilanciato negli ultimi due anni proprio a causa della mania streetwear per l’ultimo decennio del Novecento.
Insomma, non vale la pena litigare, come sono soliti fare i tifosi, sulla nuova maglia del Napoli, che, per citare un mio giovane amico, “ha quel pizzico di pacchiano che affascina”, per giunta la possiamo comprare facilmente, addirittura su Amazon, obiettivo record per il digital marketing della squadra partenopea, la prima in Italia a conquistare uno store sulla piattaforma di e-commerce di Seattle. Questa sì che è avanguardia!
Cari detrattori e critici da tastiera – non meritate l’appellativo felino, sennò la pantera napoletana si offende – Kombat 2019 non è una semplice maglia, ma una mitologia di quello che eravamo, siamo e saremo, dove si incontrano anime animalier e vintage, intorno cui la moda tesse trama e ordito dei valori di una squadra, capace di diffondere universali culturali potentissimi e importanti per la storia di una città.
Note
Su Camo Fight ho scritto per il Centro Studi di etnografia Digitale “Combattere incantando: ibridazioni tra calcio e moda nelle strategie di branding della S.S.C. Napoli”, mentre ho approfondito l’animalier qualche tempo fa qui.