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Ancelotti: “Non manca molto per vincere a Napoli. Sui cori razzisti…”

Ancelotti

Carlo Ancelotti ha parlato all’evento “Oltre le due Culture”, all’Università Vanvitelli di Napoli. Ecco le sue dichiarazioni.

 

 

“Ho frequentato poche volte l’università, mi sarebbe piaciuto, ma è stato il calcio a dedicarmi tanto tempo. Sono contento di essere qui per parlare della gestione del gruppo, un argomento interessante. Il gruppo di lavoro è cambiato. Ho iniziato a lavorare nel ’95 come allenatore alla Reggiana, la squadra della mia zona, con sedici giocatori e un totale di venti persone. Ora ci sono minimo 25 giocatori con uno staff tecnico molto nutrito con tante altre figure come il video-analista, il preparatore dei portieri, i dottori, i fisioterapisti etc per un totale di 50 persone circa. Quindi la gestione di un gruppo è totalmente diversa rispetto al passato. Prima l’allenatore aveva il controllo totale di tutto, c’era un rapporto più diretto. Un conto è parlare con 20 persone e un conto con 50. Oggi conta tanto la fiducia di chi, per te, parlerà anche con gli altri.

Il calcio è cambiato, sono cambiate le regole, i rapporti coi media. Una volta il rapporto era molto più diretto quando non c’era tutta questa tecnologia. Il giocatore prima aveva un rapporto diretto col giornalista, ora non più. Per questo è cambiato anche il linguaggio del calcio. Prima si parlava di formazione e ora di sistema di gioco. A proposito…cos’è un sistema di gioco? Ora vi interrogo (ride, ndr). Ve lo dico io: è la disposizione in campo dei giocatori. Ma non finisce lì: comprende anche l’insieme dei compiti che a ognuno viene assegnato. In un 4-4-2 dico al terzino che il compito è quello di non passare mai la metà campo e quindi il giocatore si focalizza sul fatto che deve solo difendere dato che non ha necessità di attaccare. Ecco perché l’allenatore, dopo la partita, è soddisfatto, mentre un appassionato magari dirà: questo terzino non ha mai attaccato! Così alcune valutazioni per me positive possono diventare negative per altri. Un altro esempio: l’Italia è diventata famosa per catenaccio e contropiede, oggi si parla di ripartenze. Una volta un giornalista mi ha detto: come si comporta nelle transizioni positive? Io risposi: aspetta, leggo il libro (ride, ndr). Questo per dire: il calcio è semplice. La cosa più complicata è proprio la gestione di persone che lavorano con te tutti i giorni.

E’ un lavoro di squadra ma ognuno di noi è un po’ egoista e ognuno ha il proprio carattere. Secondo una statistica il 90% dei ragazzi dai 15 ai 21 è sotto stress anche per ‘colpa’ delle tecnologie. Tutti ci dicono di essere i più belli, bravi e ricchi, così c’è la ricerca dell’impossibile. C’era anche un consiglio per questo stress: pensare agli altri. Una forma di altruismo che, nella gestione di un gruppo, può funzionare. L’altruismo è una componente importante, così come la relazione tra le persone. Se mi dicono: chi sei tu? Io rispondo: sono un allenatore. Sbagliato: io sono una persona che fa un allenatore. Siamo tutti persone di pari livelli. Poi il mio ruolo mi permette di assumere autorità nei confronti degli altri. Io decido a che ora si fa l’allenamento e nessuno può dirmi di no. Eppure coi miei giocatori non voglio mai imporla, voglio essere alla pari dei miei calciatori. La cosa importante è saper ascoltare. Tanti giocatori mi hanno dato tantissime idee in passato. Io ho un idea di gioco molto chiara ma non basto io. Devo trasmettere le mie idee ai calciatori e saranno loro a doverlo fare. Ecco perché un rapporto di fiducia. Non c’è un sistema di gioco che vince ma un gruppo di giocatori che, sfruttando le proprie qualità, scendono in campo per vincere insieme. La cosa fondamentale è la convinzione che un giocatore ha nel fare le cose.

Il momento difficile non è ancora arrivato, arriverà, e in passato i presidenti mi chiamavano e mi dicevano: coi giocatori sei troppo mordibo, devi usare la frusta. Lo dicono tutti. Pensavo fosse un costume italiano, invece mi è successo anche in Francia o Inghilterra. Per tutti bisogna usare la frusta. Io ho sempre risposto: avete usare la frusta. Non la so usare. Non so essere autoritario. Dipende dal carattere. Se usassi la frusta non sarei credibile. Sapete perché? Nessuno mi ha mai frustato. Se avessi avuto un allenatore o anche papù che mi frustava forse lo avrei fatto anche io. Ripeto: la credibilità diventa molto importante nella trasmissione di questa idea che i giocatori devono portare sul campo. Non voglio esecutori di ordini, i giocatori non sono soldati. Ho finito, grazie”.

Come si fa a gestire un giocatore importante che vuole andare via? “Si manda via, semplice”.

Qual è il suo segreto per gestire le prime donne? “Bisogna chiarire un punto. Cosa si intende per prima donna? Un esempio: per tutti CR7 è una prima donna, ma nello spogliatoio non lo è mai stato. Lo è per i media, per la stampa. Ronaldo è trattato come gli altri. Poi, ovvio, ci sono giocatori con le proprie caratteristiche: chi è più egoista, chi più determinato, allora un allenatore deve cercare di mantenere un equilibrio spiegando all’egoista che l’altruismo è importante, e viceversa. Nel complesso non è una cosa complicata. In generale i più bravi non sono bravi per caso. Oggi il calciatore di talento, dato dalla natura, ha anche grande personalità. Posso fare l’esempio di Ronaldo, Ibrahimovic, Beckham. Oggi c’è maggior professionalità rispetto a trent’anni fa. Ecco perché a sessant’anni ho problemi alla schiena, alle ginocchia etc. Lo sport fa bene? Ad alto livello no (ride, ndr). Ma oggi anche nel campo della medicina sono stati fatti passi in avanti notevoli”.

Spesso gli allenatori cambiano club: come si trova senso di appartenenza? “Questo è più legato ai calciatori. Non è un caso che i club più forti lo hanno fatto con giocatori dal settore come il Milan di Maldini e Baresi e Costacurta. Idem il Barcellona, che ha costruito la sua forza nel settore giovanile, così come il Bayern. Questi giocatori portavano dentro un forte senso di appartenenza. Per un allenatore la media di permanenza è di due anni circa. Sono rari casi differenti. Un allenatore è più legato al presente”.

A Torino quando lo stadio era squalificato i bambini dicevano una parolaccia e nessuno ha detto niente. Quei bambini in futuro saranno ultras che difenderanno l’orgoglio col coltelli. Lei, invece, porta rispetto. Come potete incidere per cambiare questi aspetti negativi? “Ho avuto la fortuna di lavorare all’estero per nove anni e queste cose sono state debellate, soprattutto gli inglesi. E’ una cosa che l’Italia deve fare e non è tanto complicata. Purtroppo gli ignoranti e i maleducati continuano ad andare negli stadi e dovrebbero fare un corso di educazione, senso civico e rispetto. Non se ne può più. L’altra sera a Bologna Kean è stato insultato e non ha senso. Insultano Napoli quando Napoli non gioca. Sento dire che Ancelotti non può dire di sospendere le partite, ma giuro che non l’abbiamo mai chiesto. Forse non mi faccio capire. Abbiamo solo detto che quando c’è un insulto territoriale o razziale, ma non solo contro il Napoli, la partita deve fermarsi temporaneamente. Come a Bologna. Magari ci sarà un annuncio e poi dopo la partita ricomincia. Quando piove la partita si ferma temporaneamente? Ecco la stessa cosa per i cori. Nel 2000 ho aspettato dure ore, possiamo aspettare anche dieci minuti per far raffreddare gli animi. Lo so bene che se si sospende la partita 60mila persone devono andar via. Tutto qua”. 

Ha mai avuto giocatori che hanno remato contro? Se sì, come si è comportato? “Una volta c’era un giocatore che quando parlavo ‘giocava’ col cappotto. In realtà non penso di aver trovato giocatori che remano contro. Piuttosto è difficile andare d’accordo con tutti. Chi va in panchina vuole giocare, non basta guardagnare tanto. Questo è un aspetto particolare. Ma nessuno può remare contro perché il calcio è un gioco di squadra: se remi contro un allenatore remi contro i tuoi compagni e di solito, tra di loro, il rapporto è di grande amicizia. Chi non gioca perde motivazione e abbassa l’intensità dell’allenamento. Su venti giocatori dieci non giocano e non possono essere demotivati. Questo è un aspetto molto delicato. Quando no giocavo, un allenatore mi diceva: tranquillo, presto toccherà a te. Poi dopo tre gare in panchina è ovvio anche mandarlo a quel paese. Spesso, piuttosto che dire cose non vere, è meglio non dire nulla, perché altrimenti si perde credibilità. A volte, però, la verità va mascherata. Ad un calciatore non puoi neanche dire: gioca quello perché èpiù bravo di te. Il turnover è molto importante sotto l’aspetto psicologico più che fisico”. 

Quando è venuto a Napoli ha trovato una tifoseria in lutto, pochi hanno capito l’importanza del suo arrivo. Con lei c’è stata crescita nella lettura della partita in corso. Le chiedo due cose: la sua capacità di leggere le partite è dipesa dall’esperienza come calciatore? E la sua tattica quanto dipende anche dagli avversari? “Sulla lettura della partita vi dico che conta anche la prospettiva. Una gara vista in panchina o in tv è diversa, anche se è la stessa. Quando facciamo resoconto a fine primo tempo, l’assistente che è in tribuna viene nello spogliatoio e le nostre problematiche sono diverse. Questo per dire che non c’è un allenatore più bravo di un altro a leggere le partite. Magari uno si focalizza più sulla difesa, uno più sull’attacco. Di sicuro, in base agli avversari, può cambiare sistema di gioco ma mai principi di gioco. In più la nostra fase difensiva non cambia mai, perché i giocatori sono felici così, e allora a volte attacchiamo con due terzini, oppure uno solo. Si parla di piccoli dettagli. Per me un sistema di gioco dipende dai giocatori, e non viceversa. Io devo usare sistemi coi giocatori che siano comodi. Questo perché, ripeto, non esiste un solo sistema vincente, altrimenti tutti lo utilizzerebbero. Nel calcio tutti hanno vinto in modo diverso”. 

Quanto tempo ci vuole per costruire un gruppo vincente? “Non lo so, non è un percorso molto lungo. Mi domando: cos’è un progetto vincente? Vincere lo scudetto? Il Napoli ha costruito un progetto vincente perché in dodici anni dalla Serie C è stabilmente in Champions con bilanci a posto, società sana, giocatori promettenti e importanti. Questo, ad esempio, è un progetto vincente. Magari mi domando: quanto tempo ci vuole per vincere? Impossibile dirlo. La vittoria è legata a piccolissimi dettagli. Dico che il Napoli è un gruppo vincente e che può vincere. In quanto tempo non lo so, ma non c’è da aspettare tanto. La squadra mi sembra forte, abbiamo investito bene in questi anni. Il gruppo è giovane, sano, e c’è intenzione di investire ancora”.

Come vi comportante con chi non rispetta qualche piccola regola? “A volte può capitare qualche ritardatario, ma ci sono regole interne gestite dagli stessi calciatori come una multa etc. Nulla di particolare, insomma. Non mi sono mai permesso di parlare della vita privata dei calciatori e generalmente un giocatore è serio e professionale. A volte è meglio un giorno di vacanza che un giorno di allenamento fatto male”. 

Quanto può servire uno psicologo all’interno di un gruppo di calcio? “Può essere molto importante, soprattutto nella gestione dei calciatori. Il problema è uno solo: il gruppo accetterà questa figura? Questo è l’unico potenziale dubbio. Perché se diventa una imposizione non va bene”. 

Come si riduce il gap coi top club che possono comprare Messi o Ronaldo? “Ovviamente bisogna fare il passo secondo la gamba che si ha. Bisogna dire che nelle grandi squadre ci sono tre voci che incidono molto sul fatturato: diritti televisivi e sponsorizzazioni e stadio di proprietà. Il campionato italiano è penalizzato per i diritti tv e sponsorizzazioni. Il mercato asiatico tira molto e sono avvantaggiate le squadre inglese. Sugli stadi, il Bayern ha stadio sempre pieno e vendono 30mila litri birra. Questo incide tanto sul fatturato. Ovviamente aumenta anche con le vittorie, ma non basta”.

Col Sassuolo c’è stato l’esordio del 2000 Gaetano: quanto conta un allenatore per formare la personalità dei giovani? “Quando si arriva in prima squadra il percorso è già stato fatto, e mi riferisco alla personalità e al carattere. Lo hanno aiutato gli allenatoti delle giovanili, la famiglia, gli amici, l’ambiente. Di sicuro il Napoli non mi ha chiamato per formare i giovani ma per altre cose. Ripeto, si arriva in prima squadra perché si è già pronti. Se mi dicessero di allenare una squadra giovanile non ne sarei capace. Gaetano sta facendo molto bene, ben vengano altri”. 

Come ha fatto a restare così ‘sano’ dopo aver vinto così tanto? “Mi piace molto quello che faccio, non mi sento addosso stress o pressione. Il giorno in cui non mi divertirò più e non ho voglia di andare all’allenamento, allora inizierò a pensare a smettere. Per fortuna qui ti svegli e c’è anche il sole…”.

Nella gestione del gruppo quanto impiega nei colloqui personali? “A volte sono personali, altre volte di squadra. Dipende da cosa si deve comunicare. Solitamente sull’aspetto tecnico è collettivo, su quello personale si parla di motivazioni, serietà etc”. 

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