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ADL: “Il San Paolo è un cesso. Mai conosciuto Genny ‘a carogna”

Un secondo spezzone del discorso di Aurelio De Laurentiis all’Antimafia.

Dopo la critica alla Legge 91/81 (leggi qui), Aurelio De Laurentiis ha proseguito il suo discorso alla Commissione parlamentare antimafia: “Non è mai esistita un’adeguata legislazione che aiutasse gli stadi di calcio. L’unica volta che sono stati fatti lavori, negli anni ’90, furono spesi 75 miliardi spesi per il restyling del San Paolo ma mi domando: quale magistrato dell’epoca ha verificato la spesa di quel budget, dato che lo stadio San Paolo è un cesso nel quale ho dovuto investire anche alcuni soldi per determinate strutture? Le mogli dei calciatori coi rispettivi figli non avevano neppure dei bagni adeguati.

Io non ho la bacchetta magica né voglio dire di saper far tutto, parliamo di gente che tira calci a pallone e non della bomba atomica. Mi fanno ridere quelli che, per difendere i propri salari, parlano in maniera così complicata del calcio. Io di questo sport non sapevo nulla, quando sentivo parlare del 4-4-2 ero convinto fosse un modo di sedersi a tavola. In due anni ho imparato i moduli.

In base a quello che ho letto faccio un distinguo tra il problema accaduto per la Juventus e quello delle curve che, in tutta Italia, appartengono al mondo degli ultras che hanno una propria filosofia. Ma, ripeto, è un problema dello stato, non dei club: è una questione puramente legislativa. Chi è che può andare allo stadio lo deve dire lo stato, non una società di calcio. Ad esempio, è stata creata la tessera del tifoso che ha però allontanato gli abbonati, che si rifiutano di dare determinate generalità e così via. A Napoli abbiamo appena 6mila abbonati, un numero esiguo. 

Non ho mai conosciuto Genny la carogna. Ricordo che quella sera (3 maggio 2014), allo stadio si era diffusa la notizia della morte di Ciro Esposito, la curva era in subbuglio, i tifosi erano agitati e volevano invadere il campo. Io, che ero in tribuna, andai a parlare con l’allora prefetto, Pecoraro, consigliandogli di fare un comunicato, nel quale si facesse chiarezza sul fatto che il ragazzo non era morto. A quel punto la questura di Roma accompagnò Marek, il nostro capitano, sotto la curva, in modo da permettergli di spiegare la situazione a questi signori”.

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